L'effetto uragano scatenato dalla diffusione del virus Covid-19 sull’economia nazionale e
internazionale è ormai sotto gli occhi di tutti. Molti settori affondano, pochi restano a galla ed
anche quei pochi che riescono a non calare a picco devono reinventarsi.
Non occorre quindi essere esperti del settore per capire la devastazione che questa tempesta
causa al Turismo, un settore che in Italia rappresenta il 13,2% del PIL.
Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: serrande chiuse, hotel deserti, voli cancellati, destinazioni
fantasma, piogge di cancellazioni per i mesi avvenire.
E sebbene l’ultimo decreto emanato dal Governo non preveda di fatto la chiusura di hotel e
strutture ricettive, è inutile prendersi in giro: se le persone non si spostano, il turismo non fattura.
Un hotel, per poter essere produttivo, ha bisogno di occupare il maggior numero di stanze,
soprattutto nel periodo di alta stagione (che in Italia – escluse le destinazioni sciistiche – si
concentra prevalentemente tra marzo e ottobre); questo perché deve affrontare ogni anno un
periodo di magra (la bassa stagione appunto), che arriva inesorabile. Certo, si possono attuare
strategie diverse per guidare i flussi anche durante il periodo invernale, ma la differenza in termini
di occupazione tra inverno ed estate è assoluta.
Per questo, nel turismo, esistono i contratti stagionali: personale assunto a stagione, appunto, per
far girare quella macchina che di inverno più o meno si ferma.
Ecco. Immaginate adesso che gli hotel, le strutture ricettive, i tour operator e più diffusamente chi
lavora con gli indotti del turismo si trovi in un perenne anno di bassa stagione. Dove non solo i
contratti stagionali non vengono stipulati, ma anche i dipendenti a tempo indeterminato non
hanno da lavorare.
Confesercenti a metà marzo parlava già del 70% di hotel chiusi sul territorio nazionale. Per non
parlare di città ormai fantasma come Roma, Firenze o Venezia (che ha il record assoluto di aver
chiuso tutti gli alberghi almeno fino a tutto aprile, un disastro senza precedenti che sta mettendo a
forte rischio il a lavoro di 10.000 persone. Solo a Venezia) che quest’anno non porteranno indotti
agli hotel, a chi crea esperienze su territorio, allo street food che vive di turismo.
E ai più ottimisti, che pensano di poter ripartire prima dell’estate, forse sfugge un dettaglio
importante: si tratta di una pandemia. L’Italia è solo uno dei paesi al mondo a dover
fronteggiare questa emergenza ed è anche relativamente avanti rispetto ad altre nazioni.
Anche laddove il distanziamento sociale terminasse per i primi giorni di maggio, passeranno molti
mesi prima del ritorno alla normalità (se mai “normale” si potrà definire il settore da ora in avanti):
una fase in cui dovremo indossare mascherine, in cui gli hotel dovranno operare (per legge) ad una
percentuale di occupazione molto bassa (si stima non sopra il 20% dell’occupazione totale), in cui i
viaggi, soprattutto all’estero, saranno fortemente sconsigliati, in cui le persone preferiranno gli
affetti e la sicurezza delle proprie mura all’avventura intorno al mondo, in cui spostarsi significherà
sottoporsi all’arrivo ad un periodo di quarantena.
Ed anche ammesso che il turismo nazionale possa essere incentivato, per far ripartire l’economia,
possiamo sognarci i concerti di Jova o le ammucchiate sulle spiagge del Salento. Un passo alla
volta. Una prenotazione alla volta. Poche persone selezionate su ogni spiaggia. Forse.
E dopo l’estate? Che il virus si fermi (improbabile a quanto dicono gli esperti) o ritorni o si trovi un
vaccino, l’Italia del Turismo ripiomberà, di nuovo, in quella stessa bassa stagione da cui quest’anno
non è mai uscita.
Perché dire tutto questo? Non basta quello che ci viene detto ogni giorno a demoralizzarci?
Perché è importante sapere che, per la prima volta, tutto il settore del turismo si trova nella
stessa condizione: nessuno escluso.
A nulla servono la bravura, la posizione favorevole, le campagne marketing strategiche: tutti gli
attori nella stessa barca (anzi, nella stessa arca, che come quella di Noè deve sopravvivere 40
giorni al diluvio…gli stessi della quarantena).
Quindi, forse, a poco serve demoralizzarci, ma piuttosto è essenziale definire in maniera precisa
quello che potrà avvenire, quali sfide il settore si troverà ad affrontare e che cosa poter fare in
questo momento, in cui tutto è bloccato e tutto è incerto.
E’ qui che il marketing e le strategie di comunicazione e fidelizzazione fanno la loro parte.
Questa volta non per portare più turisti (al momento è impossibile), ma per ribadire il concetto:
noi ci siamo. Il turimo si risolleverà. Torneremo a viaggiare, a farci i selfie davanti al Colosseo, a
vivere la cultura italiana al suo massimo splendore.
Recentemente mi è piaciuto molto l’intervento di Giovanna Manzi, Amministratore Delegato di
Best Western Italia, che ha adottato un atteggiamento “evolutivo”, sostenendo che “è proprio
questo il momento di prendere nuove decisioni, senza aspettare che la situazione si risolva,
rimanendo congelati sulle proprie posizioni. Dobbiamo chiederci se nel nostro sistema c' era
qualcosa che non andava già da prima e capire quali sono i modelli che invece hanno funzionato
meglio”. Aggiunge inoltre “quando la crisi sarà alle spalle bisognerà essere pronti a cogliere le
nuove opportunità che offrirà il mercato, puntando per esempio su bacini di domanda differenti
per quanto riguarda la tipologia della clientela servita, oppure affidandosi a piattaforme
alternative rispetto a quelle finora utilizzate”.
Un modello nuovo, quindi, un pensiero out of the box, che rimane l’unica via di uscita da questa
situazione per il turismo italiano, un ripensare la propria strategia, non solo a livello singolo, ma
anche e soprattutto nel rapporto con gli altri attori del settore turistico.
Una strategia che dovrà muoversi nei prossimi mesi, tra il digitale e la formazione del settore, e
che potrà aiutare a ripensare il modo in cui molti operatori si trovano a fare turismo: meno
overtourism e più turismo qualificato; meno resse e più qualità.
Che cosa fare quindi al momento per non buttare i mesi di immobilità?
Non è ovviamente possibile dare dei consigli omnicomprensivi, ma qualcosa, a livello di online
marketing, è possibile suggerire, prendendo spunto da un interessante articolo del Sole 24h,
pubblicato qualche settimana fa, che fornisce una sorta di “vademecum per il dopo”, che
racchiude le opinioni di alcuni esponenti del settore:
1.“Usare il buonsenso per riprendere l' attività di promozione dei propri servizi” (Nicola
Delvecchio, Hospitality Consultant): evitare azioni di marketing forzato, sicuramente molto
discutibili, sconti e promozioni che possano al momento essere visti come una sorta di
sciacallaggio.
Si pensi ad esempio alla campagna della località sciistica Abetone (Toscana), che al momento della
prima chiusura delle scuole all’inizio della epidemia ha realizzato una promozione dedicata agli
studenti rimasti a casa, causando il sovraffollamento degli impianti sciistici e mettendo a
repentaglio la salute dei giovani sciatori e delle loro famiglie.
2. Sempre Delvecchio, suggerisce di “mantenere la relazione virtuale con i propri clienti”:
sfruttare al meglio gli strumenti social per far capire alla clientela che l' attività prosegue, sebbene
questo debba essere fatto con equilibrio ed organizzazione: occorre “mantenere e consolidare la
relazione con i clienti, aggiornare i database e le mailing list, motivare staff e collaboratori e fare
storytelling della propria struttura in modo trasparente. Il tutto per preparare il ritorno alla
normalità”.
3. Affinare le strategie di comunicazione digitale, aggiornare il sito, i social, in pratica realizzare
tutto quello che di solito viene rimandato alla bassa stagione, dove comunque si trova raramente
il tempo.
4. Storytelling: Non aver paura a comunicare ai clienti quello che si sta passando, come lo si sta
passando e in che modo l’azienda sta reagendo. Raccontare le migliorie che si sta apportando alla
struttura o al tour operator, che cosa si pensa di lanciare per il 2021, quando l’emergenza sarà
finita.
5. Sfruttare infine i corsi online, consulenze e webminar gratuiti (ce ne sono diversi in questo
periodo, grazie alle molte iniziative di solidarietà digitale) per tenersi al passo - soprattutto sul
digitale, un settore che questo momento di grande emergenza ha contribuito a rafforzare e
amplificare - con quello che sarà il dopo.
Un dopo diverso, forse più difficile, ma pur sempre un dopo.
Perché quando finirà la tempesta e si tornerà nuovamente a viaggiare, sarà allora che si potrà
assaporare tutto il gusto di quello che per molto tempo avevamo abbandonato.
Sarà lì che le scelte fatte in passato, anche in questo periodo, acquisiranno un senso e ci
traghetteranno nella nuova dimensione post Covid.
Non resta che aspettare. Anzi, che preparare.